Aspettando Expo, riflessioni
di Gabriella Molli
"Perché ricordo un piatto povero, pensando all’Expo? Perché dobbiamo tornare un pochino indietro, per una nuova Rinascenza. Con piatti più semplici e per tutti. Siamo a un bivio: se non interveniamo subito non rinasceremo"....
Forse è una fissa, ma sto
realizzando che la nostra dieta potrebbe essere una via per fare
dell’alimentazione quotidiana un nuovo modo per evitare le malattie croniche
del nostro tempo. Mi sto convincendo che occorre affidarsi non al solo piacere
della gola, ma tornare a una frase di mia nonna che mi frulla ancor oggi nella
testa: devi mangiare anche se ti piace poco, il cibo è un modo per vivere bene.Visto che questo concetto ora è anche il mio, chissà perché ogni volta che mi
capita di organizzare i miei due pasti principali, mi viene in mente cosa
farebbe mia nonna di fronte a quel prodotto che sto scegliendo. Se lo cucinava
lei, mi sento tranquilla, a maggior ragione infatti lo posso cucinare anch'io.
Mi è capitato recentemente di pensarlo di fronte ai ‘brugeti’ del cavolo nero.
Era tanto che non li trovavo. Poi, un mattino sono capitata a Sarzana dal mio
amico Michele che tiene solo prodotti di prima scelta (sia confezionati che di
derivazione locale). Sua madre era stata a raccogliere vicino al fiume le nuove
crescite dopo la raccolta dei cavoli neri. Un lampo di memoria: come faceva mia
nonna Filò quando in tempo di guerra vivevamo sfollati alla Fola di Aulla, nei
pressi dei Surrogati, zona sulla strada per Pallerone. Sulla collina c’era un
campo di famiglia. Usciva di prima mattina e arrivava nella nostra casa-baracca
con un grembiule pieno di questi rametti e si metteva subito al lavoro.
Sceglieva i cimetti più teneri e li metteva in una grande ciotola di legno dove
di solito si condiva l’insalata. Perché? Domandavo curiosa. Per mangiarli crudi
con olio e aceto, era la risposta. Li portava in tavola con patate bollite
tagliate a grosse fette. Una delizia. L’altra parte era finita nella pentola
delle verdure, tonda, un po’ nera, con due piccoli manici. Acqua della fonte
appena salata, un bollo breve e poi i “brugeti” dentro la padella con olio e
aglio tritato, per condire le ‘farfalle’ che lei stessa preparava senza uovo,
con sola farina, acqua e sale, rapidamente. Mi piaceva tanto veder nascere
quella pasta. Spesso mi facevo le mie ‘farfalline’, smerlate con l’apposito
strumento da cui nascevano anche i ravioli. La sfoglia era lievemente
consistente e con gli avanzi la nonna, usando le forbici, preparava la pastina
per il brodo serale del nonno. Intanto il rito dei ‘brugeti’ proseguiva. La zia
grattugiava il formaggio e metteva sul tavolo una grande salsiccia, staccandola
da un gruppo che pendeva in cantina, lassù, molto in alto. Con le dita
schiacciava il budello e man mano che la carne usciva, la rigirava con le dita
in modo da formare dei pezzettini. Scaldata con un po’ d’olio, ma proprio un
filino, era con il formaggio grattugiato il condimento dei brugeti di cavolo
nero. Ricordo che tutte le volte facevo i capricci per mangiarli, da lì la
frase della nonna. L’acqua dove erano stati cotti non veniva eliminata: con
un’aggiunta di sale, serviva per cuocere la pasta. E prima di scolare la pasta veniva riempita una tazzetta con l’acqua di cottura: sarebbe servita per
diluire il condimento della salsiccia, prima di spargere il formaggio.
Perché
ricordo un piatto povero, pensando all'Expo? Perché dobbiamo tornare un pochino
indietro, per una nuova Rinascenza. Con piatti più semplici e per tutti. Siamo
a un bivio: se non interveniamo subito non rinasceremo. In casa mia, in mezzo ai campi del nonno sono
stata bene anche se i riti del mangiare erano similari a quello delle farfalle
con i brugeti. Ripetitivi Già, perché il giorno dopo si facevano le farfalle
con il cavolfiore. La nonna faceva essiccare la pasta su una specie di madia. E
ancora il giorno dopo con degli asparagi selvatici. Poi con bietole e patate. E
ancora con ceci e patate. Al tempo delle fave, eccole sempre in tavola, le
farfalle. Ricordo che a settembre venivano fatte con il ‘borbogion’, ovvero con
la parte terminale del fogliame peloso della zucca misto con qualche
zucchinetto. Sto elencando tanti piatti di ‘farfalle’ fatte sulla madia così
alla svelta che ogni volta mi stupivo per tanta velocità delle mani della
nonna. E mi confronto...
Quando decido di fare la pasta, mi devo attrezzare,
munita di bilancia e procedo con grande calma. Prima di tutto devo liberare il
tavolo, stendere l’apposito tappetino che non fa attaccare la pasta, avere
pronta la ‘cannella’; proprio così, veniva chiamato al femminile in casa mia,
il matterello. Ancora. Il bicchiere per l’acqua tiepida, la farina pesata e il
pacchetto sempre lì a disposizione. Se decido di usare la macchina per la pasta
e risparmiarmi le mille manovre per tirare la sfoglia, devo piazzarla e
stringere bene la vite. Ci vuole tanto spazio: le strisce devono essere tutte
uguali e tagliate con il coltellaccio. I rettangolini vengono rifiniti su due
lati con la rotellina dentata e devono essere tutti regolari. Poi c’è quel
pizzico così determinante per formare la farfalla. Insomma non è più comodo
comprare la pasta ‘farfalle’ delle grandi marche? Mia nonna lo farebbe? Ecco la
sua risposta immaginaria.
Ti dicono anche che la pasta è leggermente ruvida per
prendere meglio i condimenti. Ma non ti dicono da dove viene la farina, con
quale grano è fatta, qual è il luogo in cui quel grano è cresciuto. Quali
anticrittogamici hanno usato per farlo crescere “felicemente sano”. Sai che
sono sempre andata a prendere la farina al mulino dopo il ponte dove passava il
treno per la Garfagnana. Farina di un grano cresciuto poco lontano. In tempo di
guerra, come ben sai, andavo con il nonno verso Parma, a piedi, con la paura
dei bombardamenti. La farina era di grano cresciuto poco più in là della Cisa.
Ora, non pretendo che la farina delle farfalle sia a km zero, ma vorrei almeno
sapere che è fatta con grano italiano. Alla risposta immaginaria della nonna,
faccio seguire una mia riflessione.
"Cara nonna, oggi ho mangiato
un piatto di farfalle al sugo di ‘brugeti’ di cavolo nero con patate. Ti ho pensata. Ora l’Expo 2015 ha il compito
di considerare le scelte migliori per la salute di tutto il pianeta. Un dubbio
mi attanaglia: vedremo sfilare la pasta con l’uovo che non è uovo? Decideranno
come trovare il modo di dare un piatto di buona pasta per l’affermazione della
vita di tutti e non del guadagno di pochi?"
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