Catena di riflessioni,
pensando ai barbagiuai
di Gabriella Molli
(con la ricetta dei Grafignun di Faggiona)
Leggo la ricetta dei barbagiuai di Daniela e mi vengono in mente i gattafin di Levanto
e anche i
panzarotti di Vezzano Ligure.
E poiché ricetta richiama ricetta, ecco quella
dei grafignun, che sono in molti a non conoscere.
Un tempo i ‘grafignun’
venivano fatti durante il carnevale.
La ricetta è tratta dal libro ‘Val di
Vara’ a cura di
Simonetta Maccione e Giuseppe Marcenaro - Sagep, 1999
Grafignun di Faggiona*
Ingredienti
Erbi in abbondanza
2-3 uova intere
Formaggio stagionato
/pecorino o grana/
Olio d’oliva extravergine
Sale qb
Per la sfoglia
Farina-acqua-sale qb
Come si fa
-Si prepara una sfoglia
abbastanza fine. Si fanno bollire per qualche
minuto gli erbi
-Si scolano e si tagliano grossolanamente
a coltello
-Si forma l’impasto del
ripieno con gli erbi, le uova, abbondante formaggio grattugiato e sale
-Quando l’impasto è ben
amalgamato, si stende su metà della sfoglia e con l’altra metà si ricopre
-Con uno stampino o una
rotella si tagliano i ‘grafignun’ tondi o a losanghe
-Si friggono in un padella in
olio abbondante con olio bollente
-Nel ripieno alcuni mettono
anche qualche manciata di riso precedentemente bollito
*La ricetta è stata
raccontata agli autori da Angela Maria Brusco, nata a Faggiona nel 1912.
Hanno una valenza simbolica i grafignun della Val di
Vara? L’hanno i panzerotti di Vezzano?
Sì, se uno crede che nei tempi che hanno preceduto la storia,
cibo e
religione fossero collegati per un bisogno di sicurezza.
Io appartengo a questa
tipologia di pensiero. Due i miei grandi maestri:
Piero Camporesi e Giuseppe
Mantovano.
Come accade sempre nelle mie analisi di un piatto, è la forma che mi
prende subito.
Ambedue (barbagiuai e grafignun) sono contenitori di
pasta, quadrati, a losanga, a mezzaluna, rettangolari. Contengono un ripieno e
sono fritti per immersione.
Quindi sono mediterranei. Il fritto viene da lì. E
a insegnarlo furono i Greci
(lo dice anche uno studioso che ora è a capo
dell’Accademia Italiana della Cucina, Giovanni Ballarini). Trovo in queste due
particolari elaborazioni racchiuse nella sfoglia,
un riferimento preciso a riti
della fertilità di antiche radici.
Aggiungo che mi voglio soffermare sul concetto di ricetta come viaggio.
Intendo dire
viaggio mentale dentro l’atto del cucinare, con alcune ulteriori riflessioni.
Non possiamo servire nel piatto la melanzana, come la natura ce la fornisce.
La
melanzana è un esempio, ma sono tanti i prodotti dell’agricoltura che vanno
manipolati,
come accade per quelli della pesca e dell’allevamento.
Anche quando
si parla di “crudo” c’è manipolazione.
Ecco quindi che occorre identificare
l’atto artistico con l’atto del cucinare.
Perché atto che non dipende solo
dagli ingredienti, ma dal lavoro dell’artista.
E qui voglio rivendicare ancora
(e di nuovo) il ruolo d’artista della donna.
Quando cucina interviene la sua
anima.
Il suo bisogno sempre troppo disatteso del darti il “bello da mangiare”.
Sì, quelle striscioline che
mette sulla crostata di marmellata, sono passate nelle sue mani,
magari le ha
attorcigliate e poste al limite della teglia per abbellire.
Un lavoro a favore
del bello, il suo.
E anche qui mi rifaccio al
“pensiero” devozionale che accompagna il suo fare.
Questa torta è bella perché
l’idea del grano, la noterà e mi aiuterà a fare un figlio forte e sano.
Persino
le striscioline di pasta che dividono la superficie della torta in losanghe
sono il simbolo della nascita, delle fasce miniaturizzate.
Parlano di
invocazione di fertilità e vita. Quindi non sono lì per caso.
E la stessa forma
della losanga, rimasta fino a oggi in molti biscotti e nella pasta,
è
l’attestazione di una geometria della devozione di stampo femminile. Il doppio
triangolo.
Storia di donne, di
invocazioni mute. Gli uomini guardano alle mirabilia.
La donna invoca. Quindi
guardando nelle cucine del mare nostrum, il tondo, la mezzaluna,
la forma a
otto, il buccellato con il buco, la pasta piegata in tondo dei ravioli,
il pane
spaccato dalla linea dritta, la doppia sfoglia sotto e sopra per formare un ventre
che cresce,
il pane a treccia, i barbagiuai, i panzarotti-i grafignun (tanto
per fare ancora tre esempi)
sono collegati dal sottile filo rosso
dell’offerta-richiesta.
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