Tagliolini & Tajarin & Tagiaìn
Se dici tagliolini con i ceci, cara Daniela, vai in pieno Mediterraneo. Brava. Come dice Oscar Farinetti, mangi locale ma pensi globale. E devo anche riconoscerti il dono di aspirare a mettere sempre un tocco di cultura nelle ricette che divulghi.
La ricetta dei tagliolini con
i ceci mi ha fatto tornare alla mente un libro edito in Francia da Marabut,
tutto dedicato alla forma perfetta della pasta e alla salsa perfetta. Trovato a
Roma alla Libreria Francese. Il titolo è “Geometrie de “la pasta”. Proprio
così, scritto in italiano, “la pasta”.
Dice l’autore Jacob Kenedy
(cuoco inglese innamorato dell’Italia, pensate che tutti i capitoli del libro
portano un titolo italiano): con questo libro voglio riconoscere il primato
dell’Italia nella varietà delle paste. Renzo Pellati, nel libro “La storia di
ciò che mangiamo” (Daniela Piazza Editore, 2013) sottolinea il fatto che in una
descrizione della Sicilia scritta dal geografo Al-Idrisi per conto del re
normanno Ruggero II (1093-1154) è descritto un cibo filiforme (consumato nella
regione di Palermo) confezionato con farina-acqua, definito “itryah”, che
significa spago. Itryah divenne in seguito tria. Ancora oggi in alcune zone
della Sicilia e dell’Italia meridionale, gli spaghetti si chiamano trii.
Veniamo ai tagliolini con
ceci. Già nel Sud d’Italia dove gli arabi hanno lasciato orme incancellabili,
troviamo ciceri e tria. Oppure lagane (una pasta sottile greca era chiamata
laganon) con i ceci. Con il termine tagliolini, dove siamo? Jacob Kenedy cita
giustamente Maestro Martino, primo chef mediatico che nel 1546 scrive in Arte
Coquinaria: i macharoni alla romana (fettuccine) devono essere tagliati nella
larghezza di un dito. Ma i macharoni alla genovese (tagliolini) devono avere la
larghezza di un ago.
Nei ricordi di Antonio Luciani,
sarzanese della Bradia due sono i tipi di tagiarin della sua famiglia: quelli
con sugo di storni (oppure di allodole). Venivano esposti a grappolo
all’esterno del negozio della Baitrè. I tagiarin a la Baldina erano invece
fatti con il borbogion (la parte terminale pelosa delle zucche), qualche
patata, fagiolini in erba e mortadella nostrale (la mondiola del norcino
Pacialunga).
C’è una ricetta della vecchia
Lerici che ha incantato le mie papille ovviamente in tempo di bianchetti (oggi
proibiti). E’ una ricetta di casa.
tagiaìn coi biancheti
Piatto del ricordo
(i tagliolini sono senza
l’uovo)
Ingredienti per 4 persone
200 g di tagliolini fatti
sottilissimi con acqua-farina-sale-
un cucchiaino d’olio di frantoio
300 g di bianchetti
(si possono fare anche oggi, ma attenti ai bianchetti surgelati
che non sono bianchetti)
due pomodori pelati (in
scatola d’inverno, ben maturi d’estate,
messi un attimo in acqua a bollore con
una croce sulla superficie e poi passati)
maggiorana
prezzemolo
uno spicchio di aglio
olio di frantoio
mezzo bicchiere di vino
bianco secco (meraviglioso il Vermentino)
sale, pepe qb
Come si fa
-mettere i bianchetti sotto
l’acqua dentro un colino ben fitto per togliere tutte le impurità,
spesso sono
presenti anche mini alghe
- mettere l’olio in un tegame
dai bordi alti e girarvi dentro, usando una forchetta,
lo spicchio d’aglio
-appena l’olio ha preso il
profumo, toglierlo
-aggiungere i bianchetti già
puliti, mescolando delicatamente
in modo da muoverli con grazia
-bagnare con il vino bianco
-aggiungere il pomodoro
passato e mescolare dolcemente
-aggiustare di sale e pepare
-fare un trito fine fine di
maggiorana e prezzemolo
-condire i tagliolini (la
cottura è molto breve, attenzione)
nel tegame dove si è
preparato il sughetto di bianchetti
-servire caldo con un volo
leggero di prezzemolo-maggiorana nel piatto
Una curiosità. Qual è la
ricetta di Jacob Kenedy?
Tagliolini gratinati con gamberi e insalata
trevisana.