Salvatore Marchese: quarta edizione de
“La cucina di
Lunigiana”
Appunti da una serata di “Feria d’agosto” da Ciccio a
Bocca di Magra
di Gabriella Molli
Una bella iniziativa
post-ferragostana sul far della sera ha portato il giornalista scrittore e food
writer Salvatore Marchese (recensisce ristoranti in tutta Italia) a partecipare
a un incontro per celebrare l’uscita della quarta edizione del suo libro
“Cucina di Lunigiana”. Ambiente perfetto: un angolo del giardino del ristorante
Da Ciccio di Bocca di Magra.
Disteso, molto disponibile a
parlare, Marchese racconta dei suoi celebri amici (ne ricordiamo solo due:
Veronelli e Paracucchi, i suoi grandi padri). Il discorso scivola sulle
trasmissioni televisive del cibo e sulle moderne ossessioni culinarie che sanno
di teatro più che di vero interesse per una cucina sana adatta al tempo. Poi
affiorano alcune ricette del libro. Vengono lette. E lui racconta, con quel suo fare molto
discorsivo, come e perché rappresentino storie di casa e di territorio. Fa una
rilettura del come mangiavamo e perché. Cosa ci si aspettava da un giornalista
che venticinque anni fa ha studiato e analizzato la cucina di Lunigiana in ogni
sfumatura?
Ecco la prima ricetta: Bianco e negro d’agnello alla sarzanese.
Ricetta che non si fa più perché l’agnello non è più il protagonista delle
feste canoniche e della Pasqua in particolare. Si mangia tutto l’anno.
Ingredienti
400 grammi di coratella
d’agnello
(tagliata a fettine sottili)
Uno spicchio d’aglio
Un rametto di rosmarino
Tre foglie di salvia
30 gr di strutto
(eventualmente un po’ di
burro)
3 cucchiai di olio d’oliva
Un bicchiere di vino bianco
Sale e pepe
-in una padella scaldare
l’olio e lo strutto (o il burro)
-aggiungere aglio, rosmarino,
salvia tritati finemente
-unire la coratella
-mescolare bene
-lasciar rosolare per 4
minuti a fiamma non troppo alta
-bagnare col vino bianco (un
poco alla volta, sempre mescolando)
-salare e pepare
-completare la cottura a
fuoco moderato
La ricetta evidenzia la
cultura degli ovini in tutta la Lunigiana storica, allevati vicino a casa, o in
pascoli facilmente raggiungibili. La pecora è un bene, ti dà la lana, il latte
quando figlia e puoi fare il formaggio. Sappiamo da Tito Livio la storia di
queste grandi forme lunigianesi marchiate con il simbolo della Luna. E poi c’è
il privilegio della vendita dell’agnello, fin dai tempi oscuri dei primordi
dell’uomo sulla terra, usato nei sacrifici e negli omaggi alla madre terra e
agli dei. La coratella, appunto, si legge, dopo il sacrificio sul fuoco, veniva
mangiata. L’aggiunta di aglio, rosmarino, salvia la dice lunga su come le erbe
aromatiche fossero prima di tutto usate per quel rapporto magico (e di
preghiera) collegato con le simbologie.
Brutuei
La seconda ricetta è legata
alla scarsa dovizia di prodotti e all’intelligenza della donna che si muove
nella preparazione del pasto con ciò che ha.
Ingredienti
350 gr di farina di frumento
Un bicchiere d’acqua
Brodo di verdure già
preparato
-si mette a bollire il brodo
già pronto
-con l’acqua si spruzza la
farina ricavandone un impasto abbastanza duro
-con le dita si prelevano dei
pezzetti di impasto e si formano dei pallini che si gettano nella pentola (si
tratta di una sorta di gnocchetti)
Là dove la necessità rende
creativa la donna. Ricordava Salvatore Marchese che questo piatto ha a che fare
con il couscous, con le trofie, con gli gnocchi e tutti quei piatti che passano
attraverso una gestualità precisa e un ordine delle cose.
Spongata
La terza ricetta parla del
momento della gioia, del rito del dolce. Ma la spongata arriva da dove?
E' stata trovata da
Giovanni Lagomarsini, detto “Il Boccaccio”. Si faceva in una famiglia contadina
della Vallata della Magra. E forse esce dalle basse economie dei contadini per
il burro (autentica grande fatica trovare i soldi per acquistarlo). Stesso
discorso per lo zucchero che in questa ricetta compare (felicemente) in dose
molto ridotta. Ma tutti gli altri ingredienti sono quasi di casa.
Ingredienti
250 gr di farina di frumento
100 gr di burro
3 cucchiai di vino bianco
(appena tiepido)
Un tuorlo
Scorza grattugiata di un
limone
75 gr di zucchero
Per la farcia
3 cucchiai di confettura di
fichi
3 cucchiai di confettura di
mele
1 cucchiaio di marmellata
d’arancia
3 fichi secchi tagliati a
pezzi
20 pinoli
un poco di cannella
10 mandorle sgusciate
(tagliate a pezzetti)
un poco di chiodi di garofano
macinati
Per la glassa
3 cucchiai di zucchero
-lavorare lo zucchero, il
tuorlo, il burro e la scorza di limone fino a ottenere una consistenza cremosa
dell’impasto
-incorporate la farina e il
vino bianco
-dividere l’impasto in due
parti e tirare le sfoglie
-ungere con il burro una
teglia da forno (25-28 cm)
-sistemare la sfoglia
-versare la farcia: prima le
confetture, poi il resto
-sovrapporre l’altra sfoglia
-in una tazzina bagnare 3
cucchiai di zucchero con un cucchiaio di acqua
-stendere la glassa sulla
superficie della sfoglia di copertura
-cuocere in forno (180-190°)
per circa 45 minuti
Di spongate nel libro
Marchese ne ha siglato cinque (anche quella del suo grande guru Angelo
Paracucchi) ed esce da territorio per fare cenno al percorso emiliano. Perché
sottesa al libro c’è l’indagine sociologica. Che è la grande motivazione che
guida sempre il giornalista. La grande motivazione che rende documento di vita tutto
ciò che esce dalla sua penna. Poteva dare un suono nuovo a
un libro uscito nel 1989, ma lui, no. Ha dato l’autorizzazione a cambiare la
copertina, che è un omaggio alle castagne, protagoniste indiscusse sulla tavola
della Lunigiana storica, tanto sulla costa che in montagna. E’ il tema del
“caso e della necessità” che ha dato origine a una sua ricerca attraverso le
ricette della terra in cui è nato, da padre siciliano e madre castelnovese, a
diventare oggetto della disamina sul testo attraverso la lettura di tre
ricette-documento.
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