Prescinseua
di Gabriella Molli
Aver trovato la Prescinsêua nella ricetta dolce di Daniela, mi ha portato lontano con la testa. Ai tempi in
cui mio nonno mi raccontava che gli eroi bevevano latte. E quando leggo da
Sergio Rossi che la prescinseua era in quel di Genova, latte rappreso che i
contadini scendevano a vendere in città, mi viene in mente un’immagine lontana
lontana di mia nonna che faceva il formaggio. C’era un momento in cui si
fermava e raccoglieva dal liquido caldo le prime formazioni globulose in una
tazzetta, vi buttava sopra un velo di zucchero e mi dava da mangiare una cosa
morbidosa, molle, tenerissima di cui ancora, nel ricordo, percepisco la nota
fresca e lievemente acidula. Era la stessa cremina che qualche volta mi metteva
la sera nella tazza di polenta dolce di castagne al tramonto del sole. Era la
mia cena. Non c’era altro da mangiare, ma che delizia. Non mi sono mai
lamentata della ripetitività di quella consuetudine.
Anni dopo, quando ho
cominciato a interessarmi di genealogia dei sapori ho esplorato la convenienza
per la donna genovese di aggiungere la cosiddetta prescinseua al pesto. E a
discuterne con i vari osti genovesi il cui pesto mi aveva dato sensazioni
piacevolissime. So che sul primo momento la mia curiosità era interpretata
molto male. Ma poi si “ammorbidivano” e parlavano. Fu un modo per catturare la
storia del percorso di un’aggiunta di Genova e del suo Levante, che ritengo una
grande conquista. La Prescinsêua, infatti, ha (a mio avviso) il compito di
ammorbidire la mineralità del basilico e anche la piccantezza dell’aglio. Non
basta la sola correzione del formaggio e dei pinoli.
Persino in Sardegna, a
Villanova Tulo, nella profonda Barbagia dove mi trovavo, verso sera andavo a
prendere un formaggio molle, a falde, acidulo, da aggiungere al “minestrone”
verde che la mia consuocera preparava con bietole giganti.
Poi, recentemente, esce “La
cucina dei Tabarchini” di Sergio Rossi e a pagina 140 ritrovo questa storia del
latte rappreso, venduto in questo caso a Carloforte per strada da ragazzini con
la farinata.
La curiosità è diventata
ancora più grande quando fra le mie esperienze c’è stata quella di un viaggio
in Tunisia. Dove, putacaso, ho trovato una crema di latte acidulato, servita
accanto a bietole lessate. Forse la coincidenza è legata a un singolo chef
evoluto, mi sono detta andando sulla strada di una interpretazione dei sapori.
Ma sempre domandando come è mia consuetudine (sfinendo la gente) ho saputo che
è ricorrente l’uso di servire questa particolare crema di latte anche con altre
verdure cotte, compresi i fagiolini e la barbarossa.
Fin qui mi sono addentrata in
una analisi del fenomeno Prescinsêua attraverso considerazioni su gusto e
sapori. Ma poi mi sono detta: perché non guardarlo secondo l’ottica delle
offerte alla dea madre dei primordi della vita?
Sul latte, leggo sul
“Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze” di Corinne Morel (Giunti,
2004):
Latte, dal latino, lactis. Il
nutrimento originale e sacro
In quanto primo nutrimento
degli uomini e degli animali, il latte appare l’elemento primordiale e
cosmogonico che permette il ritorno allo stato di purezza originale. La sua
bianchezza ne aumenta ancora di più il significato di dolcezza, di pace, di
quiete.
Poi, più avanti, trovo una
funzione magico-scaramantica del latte che mi fa attribuire alla prescinseua
aspetti nuovi:
dappertutto è invalso che i
demoni e gli spiriti maligni temano il latte, poiché la sua purezza ha la
capacità di sconfiggere le loro energie negative.
Insomma la storia della Prescinsêua potrebbe ricongiungersi con quella dell’aglio.
Le donne genovesi amavano
seguire queste strade? So bene che non è ben documentata questa mia teoria, ma come dice la Tannahill, bisogna cercare una probabilità
per continuare a darsi delle spiegazioni. A credere che caso e necessità (come
dice Maurizio Sentieri) hanno sì veramente guidato la storia dei fenomeni
gastronomici. Ma io credo che in questi percorsi vi sia una presenza di miti,
leggende, racconti che rigurgitano di simbologie e credenze. Da non trascurare.