La cima ripiena alla moda di Genova
di Gabriella Molli
Che raffinatezza la Cima della Lunigiana di Daniela. Con la carne del ripieno tagliata a pezzettini...Quanti ancora lo fanno? Molto meglio il macinato, più comodo pensano in tanti. Eh, no. Durante un ciclo di incontri tenuti a cura dei Centri Sociali Anziani del comune della Spezia, ho raccolto tante voci sulla cima ripiena dell’anteguerra, della guerra e del dopoguerra. Perché? Ho sempre avuto la convinzione che esistesse una “cima spezzina” e che fosse diversa (nel ripieno) da quella genovese. Senza piselli, con una nota verde dominante. Ed ebbi la certezza di quanto affermavo proprio parlandone assieme agli autentici (e lucidi) testimoni della cultura gastronomica spezzina che venivano agli incontri con tanto entusiasmo. Ebbene, proprio da loro ho appreso che la carne del ripieno era rigorosamente tagliata a pezzettini con le forbici oppure con il coltello. In primo luogo perché (mi hanno spiegato) mantiene meglio il “tono” e la personalità della carne; e poi il ripieno ha bisogno di morbidezza e nello stesso tempo di consistenza per il taglio delle fette di cima.
Quando la cima avanzava, il giorno dopo veniva riproposta con la salsina verde che Daniela ha ben spiegato, oppure con la giardiniera che veniva preparata pazientemente due o tre giorni prima della festa.
Ma a riguardo delle cime del territorio, fra le mie memorie gastronomiche “imprestate” (vivo a Lerici dai primi anni Sessanta: mi piace molto studiare i suoi cibi, studiarne gli ingredienti) ho trovato nelle ricette lericine “raccontate” memorie, passaggi di foresti, nuovi stili in cucina acquisiti. Come accade per la cima di Lerici. Mi sono resa conto che, ovviamente, Lerici, vista la sua marineria che ha attraversato le acque del mondo (il borgo era collegato con Genova e da lì partivano tutti quelli che avevano scelto il mare come mestiere) ha una cucina che gode un forte influsso della tradizione di casa di quella che era considerata la “capitale”, la città per eccellenza. Così in molte famiglie la cima ancora oggi è di stampo genovese. E sono in molti ad affermare che la “cima spezzina non esiste”. L’esempio della cima di Daniela diventa in questo caso un documento.
Per capire cosa è una cima della Superba, ecco questa ricetta che mi fu “raccontata” dal Dott. Angelo Lupi, in una conversazione (l’unica) concessa nella sua casa pochi mesi prima della sua morte. La ricetta della cima gliel'aveva data un suo grande amico e studioso di tradizioni gastronomiche liguri: l’accademico della cucina italiana, il genovese Giuseppe Gavotti. Autore di un libro (introvabile) sulla vecchia cucina della Liguria.
Ricetta della cima ripiena alla moda di Genova
In una grande casseruola (oppure in un tegame dai bordi alti) si prepara cipolla tritata fine fine, si spezzetta con le dita qualche fogliolina di alloro per aromatizzare e si fa colorire a fuoco lento in olio fino al momento giusto di doratura (senza dimenticare che la trasparenza è un segnale importante). A parte si prepara il pieno. Vanno tagliati a quadrucci: carne di vitella, animelle, cervella. E si unisce al soffritto nella casseruola a prendere gusto. Quando tutto è rosolato si toglie dal fuoco e si aggiungono:
uova (albume rosso), formaggio parmigiano grattugiato, una manciatina di piselli, un pizzico di maggiorana e in stagione, qualche fettina di cuore di carciofo passato in acqua acidulata di limone. Le uova devono essere in quantità tale da ricoprire tutto il ripieno. Si rimette tutto il pieno al fuoco e si riscalda delicatamente. Intanto si era già preparata la borsa di carne a tasca, chiusa con il refe da tre lati. Quando il ripieno comincia a riscaldarsi (deve essere appena tiepido) lo si mette nella tasca, riempiendola meno della metà. Perché? Perché nella cottura il pieno si espande e se è troppo, la borsa si rompe. Cucire il quarto lato e forare con l’ago tutta la cima, qua e là. Un accorgimento questo, per permettere al ripieno di restare ben compatto. Ultimata la cucitura, si mette la cima al fuoco in una bella pentola d’acqua salata al punto giusto, a cui si aggiunge una cipolla, una costa di sedano e una carota. Si porta a bollore e si fa cuocere per un’ora e mezzo, circa. Poi si estrae la cima e la si mette a raffreddare fra due piatti con un peso sopra. Si taglia a fette di un cm di spessore e si serve con una salsina verde di prezzemolo, capperi, olio, aglio, pinoli.
La differenza fra la cima di Daniela con questa cima emerge netta. Diciamo che Genova (come sosteneva il Rebora nei suoi testi di ricerca sulla vecchia cucina sotto la Lanterna) aveva una cultura di carni molto accentuata, ma non solo. C’era nelle sue ricette uno sfoggio di ingredienti ricchi. La cima spezzina si avvaleva invece molto di più dell’apporto delle erbe dell’orto. A complemento di quest’ultima affermazione trascrivo integralmente una ricetta raccolta a Fabiano Basso. Da giorno di Natale, mi ha sottolineato l’anziana signora che me l’ha data. La cima era un tempo un’eccezione per chi non aveva soldi.
Il racconto:
Si fa con una cima di vitella, possibilmente nella pelle, carne di vitella a pezzetti, uova, parmigiano, aglio, prezzemolo, sale, bietole.
-Tagliare i pezzettini di carne con le forbici o con un coltellone sul tagliere (se è troppo dura provare a pestarli nel mortaio)
-Metterli in una ciotola con un trito di aglio e prezzemolo
-Unire le uova e un pugnetto di bietole bollite
-Riempire la cima e cucirla
-Metterla a bollire dopo averla bucata con la forchetta in acqua tiepida. Niente odori per il brodo (cipolla, un ramo di sedano e una carota). Perché nel ripieno ci sono già aglio, prezzemolo e bietole.
Niente grammature, è la cucina del quanto basta.
Ma, ho domandato: perché la vitella che è sempre costata cara? Le donne, mi hanno risposto, mettevano da parte i soldi per celebrare bene il Natale, facevano tanto sacrificio.
Ma si rende conto?
Da bambina quasi svenivo
al solo ricordo di quel giorno.
Ed erano in molti ad aspettarlo.
Cima con la salsina verde
ravioli
in mancanza, maccheroni al sugo
e poi focaccia dolce
fichi secchi
noci e nocciole
tempi duri
durissimi
ma quella cima
non la dimenticherò mai.
di Fabrizio De Andre' da Le Nuvole 1990
Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà
ti t’ammiàe a ou spègiu dà ruzà
ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn
che se d’à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria
a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn
‘a cimma a l’è za pinn-a a l’è za cùxia
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
Bell’oueggè strapunta de tùttu bun
prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun
cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè
da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè
àia de lùn-a vègia de ciaèu de nègia
ch’ou cègu ou pèrde ‘a tèsta l’àse ou sentè
oudù de mà misciòu de pèrsa lègia
cos’àtru fa cos’àtru dàghe a ou cè
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via
Poi vegnan a pigiàtela i càmè
te lascian tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè
tucca a ou fantin à prima coutelà
mangè mangè nu sèi chi ve mangià
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via.
La Cima
Ti sveglierai sull’indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare
ti guarderai allo specchio di un tegamino
metterai la scopa dritta in un angolo
che se dalla cappa scivola in cucina la strega
a forza di contare le paglie che ci sono
la cima è già piena è già cucita
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche
con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai
aria di luna vecchia di chiarore di nebbia
che il chierico perde la testa e l’asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos’altro fare cos’altro dare al cielo
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
Poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere
tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà
Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via.