La poesia di un olio sotto il cielo di Sarzana
di Gabriella Molli
Tutto ciò che passa sotto un
filo d’olio di Lucio diventa poesia del palato.
Ma chi è Lucio?
Antonio Luciani |
Perché parlo del suo olio?
Dove nasce?
L’ho conosciuto tanti anni
fa, Lucio, quando faceva il vigile a Lerici.
Poi l’ho perduto di vista.
Recentemente conosco Daniela Vettori, ed ecco che Lucio
ricompare
sulla mia via. Comincio a esplorare: cosa fa, dove vive.
Dapprima mi
accorgo che sa un mucchio di cose sulla storia di Sarzana, ma non solo;
poi
scopro che vive in un vecchio mulino e piano piano
ri-compongo il quadro
attuale della sua vita.
Frequenta gli incontri sulle
usanze gastronomiche antiche:
è attento, interviene con osservazioni acute.
Ma
io sono veramente stupita della sua competenza sui lavori della campagna,
sulle
sue osservazioni sulla vigna e sull'oliveto. Già, l’oliveto.
E quando, poco
prima di Natale mi regala una bottiglia del suo olio,
mi si apre una fetta di
cielo.
Non ho frequentato corsi per
degustatori di olio,
ma le mie papille abituate a una cucina verde e bianca,
mi
offrono sensazioni collegate con un “mi piace” o “non mi piace” che va oltre la
percezione.
Ebbene, nel caso di una fetta di pane e olio (l’olio di Lucio)
ho
ritrovato profumi e sentori che mi hanno stupita.
Erba, fresche tonalità di
erbe aromatiche, profumo di foglie d’oliva
e quella fetta di cielo che ti fa
dire “che buono”.
Così è stato il mio primo incontro con l’olio di Lucio.
La zona in cui è ubicato
l’oliveto di Lucio è in pieno sole
e appena si sentono le sferzate del
salmastro.
Le cure di Lucio sono quelle di un padre per un figlio da allevare.
Costruisce un
giardino-oliveto, producendo quell'olio in cui c’è un po’ della sua anima.
Note
Sull’olivicoltura sulle
colline sarzanesi
Dal libro di Giorgio Masetti
(Agorà Edizioni, 2000):
Antologia etimologica del dialetto sarzanese (come si
viveva)
"Di notevole importanza la
olivicoltura nel territorio sarzanese fin dai tempi remoti, specialmente nelle
zone collinari. Per la raccolta delle olive rimangono immutate le azioni della sabatidura
(bacchiatura) e del derapare (scorrere con la mano semichiusa lungo i
rami fruttiferi facendo cadere le olive). Ma completamente mutato è il modo di
raccogliere le olive cadute o fatte cadere dalla pianta, per portarle al tòrciu:
da qualche anno le olive si prendono rapidamente e senza fatica dalle reti a
maglie fitte che si tengono stese sotto la chioma degli olivi; e non si ha più
la visione (oggi sarebbe patetica!) di più donne (o anche di uomini) stanti ncuciòn
(coccoloni) o nzenuciòn (ginocchioni9 a raccogliere le olive a una a
una per metterle nelle ceste. L’olio per il consumo familiare era conservato di
norma ne còpi (coppi per l’olio) oppure in pile di marmo".
Tutta la Vallata della Magra
ha antiche tradizioni di cultura olearia,
che viene ben evidenziata nei disegni
e nelle planimetrie del Vinzoni.
Ma è dal filo d’olio sui “mangiari” antichi
che il racconto delle ricette si fa “storia”.
Ecco alcuni mangiari che
vengono da "lontano":
olive in salamoia |
mes-ciua o mesciua |
scherpada |
focaccia |
testaroli al pesto |
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