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15 maggio 2013

Latte Dolce Fritto


Quel latte fritto mi ha fatto tornare bambina
di Gabriella Molli


Genova, non solo pesce.  Slow Fish 2013  mi ha fatto scoprire gli occhioni del besugo.


 E mi ha dato anche il piacere di tornare bambina assaggiando il latte fritto genovese 
che era una dolce consuetudine anche a casa mia (ad Aulla in Lunigiana) 
per festeggiare un compleanno o la visita di parenti lontani. 
Quindi in casa mia, evento raro, ma molto presente nelle mie memorie gustative. 
Dove l’ho assaggiato? 
Allo stand riservato a Genova Gourmet  e alla sua storia gastronomica. 


Il latte fritto è una dolcezza che io collego con la figura della nonna Filò.
 La mia “recherche” è cominciata annusando quattro frittelline tonde, 
che io non ho collegato alla storia della vecchia cucina genovese, ma alla mia infanzia. 
Un tuffo al cuore quell'assaggio di latte fritto. 
Catturare il profumo è stata la prima cosa che ho fatto.
 Ed era la prima cosa che facevo appena la nonna Filò, 
alla cui gonna stavo quasi incollata mentre preparava il latte fritto, 
mi porgeva la frittellina dolce. 
Stavo piazzata lì ad aspettare con il naso in aria,
 pregustando il momento in cui mi avrebbe allungato, su un piattino di alluminio, 
quella delizia ancora calda. 



Latte dolce fritto
La ricetta di casa mia:

Non ho mai scritto le dosi. 
Nemmeno mia madre lo ha fatto. 
Quindi faccio leva su quello che mi ha raccontato la zia Olga. 
Ingredienti:
farina
latte 
5 uova (4 per l’impasto, uno per indorare)
zucchero semolato
scorza di limone grattugiata
cannella in polvere
pane grattugiato
olio per friggere

E le grammature? Niente: dieci tazze di latte, una tazza di farina,  una di zucchero. 
Questa è la misura empirica raccontata da zia Olga per fare l’impasto. 
 Si parte con latte e farina, poi bisogna aggiungere le quattro uova sbattute con lo zucchero
 (il quinto serve per indorare). Infine per profumare l’impasto, cannella e scorza di limone.
 Quanto basta.  più,  meno. Cuocere il composto a fuoco lieve fino a quando non si solidifica. Sempre mescolando nello stesso senso. "Circa mezz'ora",  diceva zia Olga. 
Poi lo si versa  ancora caldo in una teglia dal bordo basso, nello spessore di 2 - 2,5 cm.
 Livellando la superficie con cura. Quando è freddo si taglia a losanghe della stessa dimensione. 
Le losanghe vengono indorate e si passano con delicatezza nel pan grattato.
Quindi si friggono in olio bollente. Dopo averle scolate sulla carta-paglia  si fanno raffreddare. 
Al momento di servirle,  si profumano con zucchero a velo vanigliato.  


Il profumo del latte fritto alla genovese mi ha portato indietro nel tempo
 a questi gesti di preparazione.
 E ho ripensato alla nonna che mi porgeva la prima frittellina. 
Autentica rarità affettuosa, dico oggi, perché nella nostra vita di nonna e nipote
 non ve ne erano tanti di momenti dolci. Una specie di riservatezza separava i nostri due mondi. 
La nonna Filò non mi abbracciava  mai. Eppure ero l’unica nipotina 
(ed ero in una famiglia con sei adulti troppo preoccupati per la guerra, sempre impauriti e seri).
 E poiché ero un tipetto ribelle, c’erano sempre molte sgridate nella mia giornata. 
Specie della nonna Filò. Ricordo  che una volta ho preso il fazzoletto 
che pendeva dalla taschina del suo grembiule nero, spinta da una gran voglia incontenibile, 
l’ho buttato nel camino (che in casa mia era sempre acceso). All'inferno


Eppure, a distanza di tempo, ora mi vengono in mente altri gesti gentili della nonna: 
la prima frittella di mele, o di fichi binei appena colti. 
Erano rare occasioni, ma quando il mio naso avvertiva il profumo tipico delle fritture dolci
 che si diffondeva nella cucina, mi mettevo lì accanto a lei che stava friggendo
 nella padella di ferro tutta nera, posta sulla stufa economica a cerchi. 


Riflettendo sulle mie sensazioni
Al naso arriva subito la nota del latte combinato con lo zucchero, la farina, il latte e l’uovo. 
Poi il profumo di cannella. Per ultimo, un sentore di limone. 
In bocca percepisco subito netto il gusto del fritto. 
Il croccantino del pangrattato che avvolge la fettina, misto all'olio bollente, 
si combina con latte e zucchero, si fonde e si addolcisce. 
Poi le sensazioni diventano tattili: la scorza di limone rinfresca la mistura. 
La cannella è lieve, quasi lontana.
Riflettendo sulla forma a losanga del latte fritto della nonna Filò
L’impasto del latte fritto genovese assaggiato allo Slow Fish 2013 a Genova
 era stato tagliato a tondi della grandezza di un bicchierino da marsala. 
Mia nonna tagliava invece l’impasto a forma di losanga. 
Questa differenza di forma mi porta a fare considerazioni su altri dolci degustati in Tunisia. 
Sempre a forma di losanga. A Cagliari. A Napoli. A Palermo.
Cosa congiunge questa consuetudine? Devo anche rilevare che Daniela Ferrante, 
che conduce l’agriturismo La Debbia in Alta Val di Vara,
 taglia le sue torte di riso salate in piccoli pezzi a forma di losanga. 
Perché  dice, così facevano le donne del territorio. 


E se ci pensate bene, a Pontremoli, i testaroli prima di essere tuffati a rinvenire in acqua calda, 
vengono tagliati con la stessa forma. Che io dico, a questo punto, sia una forma sacrale. 
Riferendomi con ciò alla simbologia femminile e alle invocazioni ancestrali alla dea madre.
Ora, quindi, per associazione, voglio tornare sulla composizione del latte fritto, 
che si rifà al “bianco mangiare” dei popoli del Mediterraneo. 
Che loro facevano con latte di mandorle e con l’aggiunta di acqua d’arancio.
 Molto in uso come dolce al cucchiaio, ma anche fritto. 
Del resto, chi ci ha insegnato a friggere?      







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