30 gennaio 2013

Quel pandolce pieno d'amore



Quel pandolce che per me è “pan dei marinai”
 di Gabriella Molli

Racconto di una storia di casa mia.
Daniela Vettori  mi ha portato nei giorni del Natale il suo pandolce augurale, 
che non ho voluto aprire per riservarlo a mia figlia Maura
 che doveva arrivare dalla Sardegna (dove abita).
 Il suo arrivo era previsto per l’Epifania.
 Maura non arriva e mi preannuncia che verrà invece mio nipote Franciscu,
 che sta già cercando un biglietto Alghero-Pisa. Franciscu è ghiotto come sua madre di pandolce
 (e nella fattispecie di uvetta e pinoli). Aspetta aspetta, arriva il 28 gennaio. 
E’ passato più di un mese. Il pandolce è rimasto nella sua veste natalizia. 
Quando lo apro..........quale delizia, è perfetto. 
Il profumo della lievitazione naturale, del finocchietto e degli aromi emergenti dell’uvetta
 e dei canditi, mi colpiscono piacevolmente il naso. 


Il primo pezzetto mi dà un piacere che accompagno alla constatazione
 che il pandolce è nato da un atto gastronomico guidato da un mirato progetto di donna.
Sì, mi dico ogni volta. Il Pandolce è nato da una testa femminile
 ed è stato pensato per chi doveva partire e restare in mare molto tempo.
 Io penso con lo stomaco e mangio con la testa. 
Mi viene di fare associazioni, dedurre, giocare con la genealogia dei sapori. 
Non ricordo quando ho scritto del “pane dolce dei marinai” sul Secolo XIX,
 ma nel 2000 fu inviata alla redazione una lettera 
che contestava questa associazione del pandolce con l’andar per mare.

Chiesa di San Pietro a Portovenere (SP)
 Nel nostro territorio c’è una diffusione di  ricette molto simili
(mai uguali) a quella genovese e il pandolce è una dolce tradizione natalizia.
La ricetta di Daniela è su questo blog e non mi dilungo.
 Vediamo da vicino gli ingredienti su cui voglio porre l’attenzione.
Zucchero, burro (oppure  olio, come accadeva in molte case), 
un uovo, mezzo bicchiere, a seconda delle possibilità, di Sciacchetrà, o vino passito, o latte.
E poi uvetta, semi di finocchio, pinoli, cedro e arancia candita, fichi secchi, noci.
Il carattere dei vari ingredienti, a mio avviso totalmente mediterranei, 
parla di un mare nostrum che ci ha trasmesso molte consuetudini di casa
 legate alla trasformazione dei prodotti a disposizione, 
conservati con finalità di particolare attenzione al loro ruolo nell'alimentazione
 e quindi dell’apporto di principali sostanze riequilibranti.


Partiamo dal concetto che la donna araba ha dato ai dolci 
una grande importanza non solo conviviale, ma anche di apporto energetico. 
Ma farina-zucchero-uovo è una triade sacra che assomma significati religiosi,
 prima ancora che dietetici. Lo zucchero ovviamente è prodotto arrivato dopo l’uso del miele
 e della melassa. L’aggiunta di vino o di latte si lega al fattore di come amalgamare gli ingredienti 
sempre in un concetto di offerta votiva. Ma c’è di più. 
Anche uvetta, noci, pinoli, fichi secchi (come anche cedro e arancia canditi) 
sono legati a simbologie forti. L’uvetta, per tutti, parla di grembo materno, di seme, di fecondità. 
I semi di finocchio sono altamente conservati, oltreché aromatici. 


Comunque assommano anch'essi significati scaramantici, adottati anche dai popoli nordici.
E ora veniamo al concetto di pane.
Pensiamo al significato altamente religioso che gli ha dato la Chiesa
 e pensiamo che la forma più semplice di cibo da portare con  nel viaggio
 è questo simbolico segno della casa. 
Del focolare, del passaggio di energia e pensiero fra chi fa il pane e chi lo riceve. 
Ricordo che ai pellegrini della via Francigena al loro arrivo veniva offerto un pane e del vino.
Ma quando il pane si fa dolce c’è qualcosa di più.
Se si osserva la storia dei popoli nomadi si trova come consuetudine l’essiccazione
 di frutta e di semi oleosi, facili da trasportare, da mettere in bocca. 
Tutto il Mediterraneo ha dolci fatti con datteri secchi, mandorle e affini. 
Un modo rapido per riprendere forza.
E allora perché non pensare che le donne di Liguria, quando partivano i loro uomini,
 non avessero che un pensiero: gli faccio un pane dolce che durerà a lungo. 
E mettevano nella sacca dell’andar per mare quel pandolce pieno d’amore.   









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