Quel pandolce che per me è “pan dei marinai”
Racconto di una storia di
casa mia.
Daniela Vettori mi ha portato nei giorni del Natale il suo pandolce augurale,
che non ho
voluto aprire per riservarlo a mia figlia Maura
che doveva arrivare dalla
Sardegna (dove abita).
Il suo arrivo era previsto per l’Epifania.
Maura non
arriva e mi preannuncia che verrà invece mio nipote Franciscu,
che sta già
cercando un biglietto Alghero-Pisa. Franciscu è ghiotto come sua madre di pandolce
(e nella fattispecie di uvetta e pinoli). Aspetta aspetta, arriva il 28
gennaio.
E’ passato più di un mese. Il pandolce è rimasto nella sua veste
natalizia.
Quando lo apro..........quale delizia, è perfetto.
Il profumo della
lievitazione naturale, del finocchietto e degli aromi emergenti dell’uvetta
e dei canditi, mi colpiscono piacevolmente il naso.
e dei canditi, mi colpiscono piacevolmente il naso.
Il primo pezzetto mi dà un piacere che accompagno alla
constatazione
che il pandolce è nato da un atto gastronomico guidato da un
mirato progetto di donna.
Sì, mi dico ogni volta. Il
Pandolce è nato da una testa femminile
ed è stato pensato per chi doveva
partire e restare in mare molto tempo.
Io penso con lo stomaco e mangio con la
testa.
Mi viene di fare associazioni, dedurre, giocare con la genealogia dei
sapori.
Non ricordo quando ho scritto del “pane dolce dei marinai” sul Secolo
XIX,
ma nel 2000 fu inviata alla redazione una lettera
che contestava questa
associazione del pandolce con l’andar per mare.
Chiesa di San Pietro a Portovenere (SP) |
Nel nostro territorio c’è una
diffusione di ricette molto simili
(mai
uguali) a quella genovese e il pandolce è una dolce tradizione natalizia.
La ricetta di Daniela è su
questo blog e non mi dilungo.
Vediamo da vicino gli ingredienti su cui voglio porre
l’attenzione.
Zucchero, burro (oppure olio, come accadeva in molte case),
un uovo,
mezzo bicchiere, a seconda delle possibilità, di Sciacchetrà, o vino passito, o
latte.
E poi uvetta, semi di
finocchio, pinoli, cedro e arancia candita, fichi secchi, noci.
Il carattere dei vari
ingredienti, a mio avviso totalmente mediterranei,
parla di un mare nostrum che
ci ha trasmesso molte consuetudini di casa
legate alla trasformazione dei
prodotti a disposizione,
conservati con finalità di particolare attenzione al
loro ruolo nell'alimentazione
e quindi dell’apporto di principali sostanze
riequilibranti.
Partiamo dal concetto che la
donna araba ha dato ai dolci
una grande importanza non solo conviviale, ma
anche di apporto energetico.
Ma farina-zucchero-uovo è una triade sacra che
assomma significati religiosi,
prima ancora che dietetici. Lo zucchero ovviamente è prodotto arrivato dopo
l’uso del miele
e della melassa. L’aggiunta di vino o di latte si lega al fattore
di come amalgamare gli ingredienti
sempre in un concetto di offerta votiva. Ma
c’è di più.
Anche uvetta, noci, pinoli, fichi secchi (come anche cedro e
arancia canditi)
sono legati a simbologie forti. L’uvetta, per tutti, parla di
grembo materno, di seme, di fecondità.
I semi di finocchio sono altamente
conservati, oltreché aromatici.
Comunque assommano anch'essi significati
scaramantici, adottati anche dai popoli nordici.
E ora veniamo al concetto di
pane.
Pensiamo al significato
altamente religioso che gli ha dato la Chiesa
e pensiamo che la forma più
semplice di cibo da portare con sé nel viaggio
è questo simbolico segno della
casa.
Del focolare, del passaggio di energia e pensiero fra chi fa il pane e
chi lo riceve.
Ricordo che ai pellegrini della via Francigena al loro arrivo
veniva offerto un pane e del vino.
Ma quando il pane si fa dolce
c’è qualcosa di più.
Se si osserva la storia dei
popoli nomadi si trova come consuetudine l’essiccazione
di frutta e di semi
oleosi, facili da trasportare, da mettere in bocca.
Tutto il Mediterraneo ha
dolci fatti con datteri secchi, mandorle e affini.
Un modo rapido per
riprendere forza.
E allora perché non pensare
che le donne di Liguria, quando partivano i loro uomini,
non avessero che un
pensiero: gli faccio un pane dolce che durerà a lungo.
E mettevano nella sacca
dell’andar per mare quel pandolce pieno d’amore.
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