Metti una sera di agosto a Ca’ du Chittu
Arrivare a Ca’du Chittu nel mese di agosto è come viaggiare
con la mente in uno spaccato
di Liguria di Levante che somiglia alla Provenza.
Nonostante il lungo periodo di siccità, il mantello verde concede una pausa di
ristoro all'occhio
e le case sono segni di una società dai bisogni minimali:
l’orto-il giardino-il forno all’aperto-lo spazio dei nanetti....
Uno a volte ha
proprio bisogno di allontanarsi dalla
città sempre troppo uguale
nelle sue periferie attrezzate a super giunonici
luoghi commerciali che ti ingoiano
e che, mentre ti offrono il tutto e il più
dei cibi a livello mondiale,
ti danno una grande voglia di pane d’una volta con
un po’ di olio-aceto-sale.
Ebbene, salire a Ca’ du Chittu è come affiorare a un
mondo di stampo diverso.
Torrente nella Val di Vara |
Ci sono i pomodori “persumin”, che altro non sono se
non i “costoluti genovesi”,
un tempo chiamati così per un lieve aroma di
prezzemolo.
Ci sono le melette che profumano d’antico, le zucchine trombetta (ah,
la torta di trombette),
i cetrioli gigante per la zuppa fredda di yogurt-limone-sale.
Tutto raccolto in giornata.
E che piacere quando una sera d’agosto, a Ca’du
Chittu può capitarti una cena Slow Food
che ti riconduce a sapori (e saperi) di
casa genovese.
L’ingresso è con cuculli genovesi (quelli che la
storica-ottocentesca,
Cuciniera dei Ratto chiama “galletti")
Cuciniera dei Ratto chiama “galletti")
e profumano di erba
cipollina.
La forma leggera è arrotondata e il gusto di cipollina,
La forma leggera è arrotondata e il gusto di cipollina,
di chiara
derivazione “francese” (la ciboullette) offre un odore fine e penetrante,
per
dirla con i provenzali, che si traduce in un sapore delicato, “qui ouvre
l’appetit”.
Cuculli così leggeri e piacevoli che si offrono contemporaneamente
all’occhio e alle papille.
Come i “fiori di zucchino” in pastella autentico
esempio di arte della cucina dei fiori
di cui le donne liguri e lunigianesi sono maghe.
di cui le donne liguri e lunigianesi sono maghe.
Poi compaiono le fettine di frittata con la borragine. Cruda.
Un
vezzo di Ennio, il proprietario, ma anche antica preparazione in linea
con
quanto affermavano le donne genovesi: la borragine ti conforta il cuore e
genera allegria.
Cruda per lasciarle questa virtù (e le tante altre che ha)
come fanno tante donne lunigianesi
quando fanno le torte d’erbi e non passano
le verdure in acqua salata,
ma le pongono a perdere l’amaro con il sale e le
usano crude per il ripieno.
La voglia di continuare la cena è all’apice con i
tagioen con “u toccu”.
Puro capolavoro genovese un tempo realizzato con un
“Tòcco”,
pezzo di carne messo su una base di cipolla-carota-sedano,
accarezzato
come un bambino almeno sei ore, in un rito paziente d’amore,
con l’aggiunta dei
funghi a dare un sapore molto speciale.
I Tagioen (ma anche tajarin, tagliolini...) |
Tagioen: sarà lo storico-archivista
Emilia Petacco a dire che Genova è un
caso storico
e clamoroso di anticipo su Napoli, grazie ai contatti con la cultura
araba,
da cui ha tratto anche la tradizione della farinata e dei pesci salati.
E a dire che negli statuti tratti dagli archivi della Lunigiana storica si
evince che anche qui
le “paste” avevano nomi diventati storici:
gasse, macaron,
fidé, fidefin (capellini di formato più sottile),
croseti, mostacioli, lasagnete.....
croseti, mostacioli, lasagnete.....
L’omaggio alla polpa, tradotta in minimali forme “rotonde”
nate nell’incavo della mano femminile
(quanta significanza religiosa in questo
gesto) è nelle polpette della Val di Vara.
Ma il preziosismo della serata
ispirata ai cibi antichi della tradizione genovese prosegue
in una serie di
“frittini di grasso e di magro”, che Ennio ha tratto dai ricordi della sua
casa,
assieme alle “lattughe piene”, che derivano da antichi piatti arabi e che
le donne genovesi
hanno arricchito di una salsina agrodolce con i piselli,
che
nella cena Slow ha portato la testa lontano lontano.
Pane Martino |
Come i “pursemin”, Pane Martino i ravioli dolci e i biscotti a losanga,
che richiamano nella loro
forma antichi retaggi di sensazioni templari.
E, come ha fatto ben osservare
Giampaolo Barrani (uomo slow di cultura di costa: è di Corniglia)
che altro
vino si poteva portare in tavola, con l’occhio a Genova, se non Ciliegiolo e
Bianchetta?
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