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06 agosto 2012

Gabriella Molli racconta la cucina povera dei pellegrini



Slow Food: 
“Oltre la cena del pellegrino alla Sarticola”
di Gabriella Molli


 Non si è mai scritto, né parlato moltissimo del rapporto fra pellegrini e cucina
 sul tratto della via Francigena che interessa la Val di Magra ai limiti del confine con la Toscana. 
Una cena all'agriturismo La Sarticola ha dato reali e concrete risposte
 a una virtuale accoglienza per aiutare “il corpo e lo spirito”, 
come doveva essere la cucina del tempo
 (in quell'arco che va da fine anno Mille al Trecento-Quattrocento).
 Certamente una cucina semplice, basica, fatta di prodotti “del luogo”,
 di sapori di terra che Matteo Antonelli,
il giovane chef emergente de La Sarticola ,


 ha tradotto in un menu ideale, menu nato dalla mia collaborazione
 con lo storico-archivista Emilia Petacco
ambedue presenti da alcuni anni nelle programmazioni di serate estive a tema,
 fortemente volute da Carlo Antonelli (fondatore dell’azienda agrituristica), 
tanto legato ai riti gastronomici della tradizione della sua terra ortonovese.


 Non poteva mancare in questo menu qualche piatto delle cosiddette “feste” e il vino di collina
 (bianco e rosso), che era con il pane la base primaria dell’accoglienza di un pellegrino. 
Rituale quasi eucaristico.



 Alla Sarticola il pane è comparso in tavola in un “fagottino a quadrotti" blu, legato con rafia. 
Piatti frugali (oggi appartengono alla mal definita “cucina povera”) come ingresso.


 Verdure ripiene , non pietanze di  magro, ma presenza di carne nelle falde di peperoni dolciastri dell’orto dell’ azienda. I peperoni non erano certo presenti al tempo dei pellegrini della via Francigena 
(sono infatti post-colombiani come le patate), ma simbologicamente hanno rappresentato una modalità di cottura di verdure con ripieno, che la tradizione mediterranea ci ha consegnato come cibo adatto a tutte le età (come lo sono anche le torte) e a tutte le bocche, con denti e senza.
 Sulla stessa linea i piselli e le finte “trippe”, rigorosamente in bianco. 
Un tocco di agrodolce nelle barbabietole, che  vengono dalla famiglia delle Chenopodiacee 
e ci ricordano il viaggio di rape, biete, bietole verso lo zucchero, 
per un omaggio all’agrodolce, che è pura derivazione di cultura mediterranea.
 Quindi questo intermezzo è suonato nel menu con il suo forte sapore arabo.
 Come la focaccina al rosmarino, che molti vogliono di origine romana, 
ma che non possiamo non raffrontare con il mondo dei granai africani, 
di cui anche Roma si serviva.




 Stessa derivazione per le “paste” di cui l’Italia 
(e soprattutto la Liguria) diviene dominio.
 Gasse cacio e pere, con un velo di formaggio parmigiano
 (un tempo  era in uso solo il pecorino), bontà.
 Un piatto così e lo spirito e il corpo si sollevano dalla fatica
 di un lungo cammino (il potere degli zuccheri).
Poi ecco le “rafiole”, condite con un sughetto rigorosamente di verdurine dell’orto.
 Insomma grossi ravioli: siamo sempre nel tema dei ripieni,
 in questo caso, realizzati con le foglie verdi dell’orto.
 Un tempo anche con le erbette di campo.
 La forma a ventre ci ricorda il corpo della madre in attesa. 
Non c’è forse una idea di richiesta di protezione alla dea madre di antico sapore?


 Ed ecco le note gustative della “festa”: il maialino e il piccione,
 sapidi, basici cibi legati al cortile, e con loro un certo clima di agiatezza 
che non era di tutti, o era legato esclusivamente a quelle due-tre occasioni conviviali dell’anno
 in cui si faceva appunto festa.


 Non poteva mancare in una cena sulla cucina povera dei pellegrini
 un richiamo a quelli che noi consideriamo “dolci”. 
In questo caso, essendo Ortonovo terra di confine, cantucci 
(di ideazione toscana, quindi etrusca)  e ciambelline
 (se ne riscontra la presenza in tutte le culture mediterranee:
 il tondo è la forma del ventre materno, della terra, della luna).  
Biscotti secchi.

Gabriella Molli


 Stavano dentro la “scarsela” del pellegrino e potevano essere mangiati a “morsettini”
 nel momento in cui il corpo
 (o lo spirito?) aveva bisogno di essere sostenuto. 
Gabriella Molli 










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