Gabriella Molli |
E la febbre continua...
di Gabriella Molli
"Posso rispondere solo così a chi, come il dottor Alberto Fiorito, mi interroga sul perché-come-quando ho iniziato a interessarmi di vino-cucina-territorio. Proprio di febbre, si tratta. Infatti non sono uno chef, non sono uno storico, non ho frequentazione di archivi, ma sono nata settimina nel periodo che ha preceduto la guerra nel borgo di Aulla e sono stata tenuta vicino al camino per circa quattro mesi, assorbendo tutti quei profumi che i cibi di allora emanavano. E forse per questo sono diventata una “curiosa” di enogastronomia.
La “curiosità” è stata la mia guida: sono stata una maestra elementare più “curiosa dei curiosi” (perché se la “curiosità” non ce l’hai nel dna, non la puoi trasmettere) e non potevo non occuparmi dei cibi dei nonni. Di quella microstoria che fa parte della grande storia con la esse maiuscola, ma che spesso viene oscurata da date, datine, guerre, battagliette, Garibaldi e così via….. Nel 1984, ecco che da una ricerca in una classe quinta di Tellaro nasce un libro con i nonni, pubblicato grazie all’allora Cassa di Risparmio della Spezia. Sono partita così e ho cominciato a dar corso anche a ricerche in gruppo. Tutte con un unico obiettivo: esplorare i cibi e i prodotti del territorio, le tecniche e le contaminazioni. Studiando Montanari, Tom Standage, Reay Tannahill, Gianni Rebora, Adelchi Scarano, Piero Camporesi, Nico Valerio. E trovando in Slow Food (la mia iscrizione è del 1986) un partner di valore. Ho iniziato a scrivere piccole cose e partecipato nel 1996 a una ricerca sulle ricette di Lunigiana con due docenti dell’alberghiero, uscita ora con i caratteri di Lunae Edizioni. Vi si possono leggere cinque interpretazioni della mes-ciua. Cinque ricette per lo stesso piatto emblema di spezzinità? Sì. A sfatare le tesi di un certo ecumenismo gastronomico che vuole la ricetta tradizionale unica. Con solo quegli elementi. Con solo quel procedimento. Senza ricordare la creatività al femminile in cucina e la lotta per rendere a tutti i costi buono “quel piatto di sopravvivenza”. Perché di questo si tratta, anche per la mes-ciua, nata a fine stagione primaverile, prima che i semi dei legumi facessero il cosiddetto ospite. Importante è stato l’apporto dell’esperienza di lavoro come collaboratrice del Secolo XIX e l’amicizia di Bruno Della Rosa e Salvatore Marchese. Quante lotte e quanti attacchi sulle mie teorie. Persino su internet, a ricordarmi che sarebbe bene ogni tanto tornassi “sulla retta via”. E questo perché non mi disturbano le contaminazioni, amo gli chef creativi che tengono d’occhio la tradizione per volare oltre. Come Matteo Bertola.
Chi frequenta la mia casa sa che ho raccolto oltre mille volumi del mondocucina e del mondovino (vado molto fiera dell’amicizia di Marco Rezzano e Walter De Battè) e che ho studiato a lungo i riflessi della cucina arabo-saracena sulla nostra cucina.
E la febbre continua......"